Quella mattina del 1994, Marcello Pezzetti ed io ci eravamo dati appuntamento nell’atrio della stazione centrale di Milano, per incontrarci con il funzionario delle ferrovie dello Stato, Salvatore Vitiello. Era questi un amico con il quale Pezzetti aveva parlato del suo lavoro di ricerca sui deportati.
Vitiello, che era in pensione, gli aveva detto che, volentieri, ci avrebbe condotto nei sotterranei della stazione, alla ricerca del possibile punto di partenza dei treni dei deportati, ebrei o politici.
Scendemmo una rampa di scale e percorremmo, meravigliati, chilometri di una città sotterranea, con grandi uffici di smistamento della posta, centinaia di lavoratori, bar, mense, ristoranti, perfino una sala cinematografica, il tutto illuminato da una luce livida. Un mondo sotto al nostro mondo quotidiano, assolutamente inaspettato. Giungemmo infine ad un portoncino di ferro in cima ad una scaletta di cemento, sotto la quale si aprì ai nostri occhi un immenso ambiente, nel fondo del quale giacevano 21 binari ferroviari paralleli, la cui fine non si vedeva, data la scarsa illuminazione, ma che Vitiello ci spiegò che si interrompevano dopo poco. Non erano binari normali, erano tronconi di binari, con, ciascuno, una banchina di cemento, su cui poggiavano i giganteschi pilastri che reggevano tutto quanto l’edificio della stazione.
Il nostro amico iniziò a manovrare una leva su di un quadro metallico e, con nostro stupore e con grande clangore, vedemmo che una grande piattaforma in guisa di carrello poteva scorrere e andare a combaciare con uno dei tronconi delle rotaie. In pratica questo grande carrello era in grado di spostare un vagone da una banchina all’altra, in perfetta corrispondenza con le 21 banchine dei treni del piano superiore.
Poi Vitiello ci mostrò come un vagone poteva essere spostato, con questo traslatore, verso enormi buche praticate nel soffitto e portato su con una piattaforma elevatrice. In pratica lo scambio di rotaie avveniva al piano inferiore e il treno poteva essere pronto per partire dal binario giusto, con i vagoni portati su, dalla pancia della stazione. Così avveniva che le cartoline, le lettere, i pacchi postali smistati nel sotterraneo, erano avviati ai treni destinati alle varie grandi città italiane. In quell’epoca, il servizio postale era ineccepibile, capitava che una cartolina messa in una cassetta delle lettere a Milano al mattino, venisse recapitata la sera stessa a Roma.
In un momento tutto ci fu chiaro.
Le persone destinate alla deportazione venivano condotte in camion dalla prigione di San Vittore al luogo di scarico, cioè sul piano stradale, in via Ferrante Aporti, dove negli Anni Trenta e Quaranta, i sacchi della posta dei cittadini milanesi erano conferiti.
Dopo la rapida discesa dai camion, nel 1943-1944, le persone venivano spinte nello stesso grande salone in cui eravamo noi in quel momento, dove si vedevano solo pilastroni e fuliggine. Erano caricate in fretta e furia sui vagoni che attendevano aperti con la paglia per terra e il bidone di acqua nel mezzo. Poi le porte venivano richiuse su di loro, e i vagoni, uno per volta, venivano portati sul piano di partenza su un unico binario fino a che il convoglio, pieno di povere vittime, si formava. Il tutto, dunque, si svolgeva lontano dagli sguardi dei normali viaggiatori che sostavano nella stazione vera e propria. Questa manovra poteva durare ore, ed ecco spiegato quello che i testimoni ci avevano raccontato: non essere partiti subito dopo il carico, ma essersi sentiti sballottati per parecchie ore, senza aver capito che cosa stesse succedendo.
Il binario che corre verso il nord, ci spiegò Vitiello, è l’ultimo a destra della stazione, guardando dalla facciata principale: era, allora, il Binario 21. Nome che ci è, da allora, diventato noto e che suona tuttora sinistro, come sinistra è tutta quanta questa storia.
Quando portammo in quel luogo Liliana Segre, anche lei ne rimase colpita. Aveva visitato in precedenza il sotterraneo della Stazione assieme a ragazzi del movimento della Comunità di Sant’Egidio, per portare sollievo a degli homeless che dormivano là sotto. Non immaginava certo che cosa ci fosse dietro quel portoncino di ferro che avevamo appena attraversato. Liliana, in quel cupo luogo, poté testimoniare e confermare quello che avevamo potuto scoprire qualche giorno prima. Luce era stata fatta sul meccanismo della partenza dei treni diretti ad Auschwitz, partiti il 6 dicembre 1943 e il 30 gennaio 1944 e anche di quelli che portarono il loro carico umano al campo di Fossoli, per una sosta tecnica di qualche decina di giorni o per mesi. La logica economica della Germania nazista era infatti che si attendesse che i prigionieri fossero in numero sufficiente per giustificare l’organizzazione di un convoglio diretto al campo di Auschwitz per gli ebrei, al campo di Mauthausen per i prigionieri politici.
Liliana Picciotto, 2022